Omessa dichiarazione contributiva: assoluzione se manca il dolo

Omessa dichiarazione contributiva: assoluzione se manca il dolo

Non è responsabile del reato di cui all’art. 37 legge 689/81 il datore di lavoro che abbia delegato al commercialista la presentazione delle dichiarazioni obbligatorie e abbia ottenuto rassicurazioni rispetto a tale adempimento. Lo stabilisce la sentenza 20835/2024 della Cassazione penale.

 

Il fatto

L’amministratore unico di una società a responsabilità limitata veniva condannato per il reato previsto e punito dall’art. 37 della legge 689/1981 perché, al fine di non versare i contributi previsti, ometteva la presentazione delle denunce obbligatorie, in tal modo omettendo il versamento dei contributi mensili, per un ammontare pari a Euro 5.404,98 per gennaio 2016 e Euro 3.774,51 per dicembre 2016.

Con l’ausilio del suo difensore di fiducia, l’imputato ha impugnato la sentenza portando in evidenza ben cinque motivi. Secondo la tesi difensiva, la sentenza sarebbe incorsa in un vizio di motivazione rispetto alle circostanze di fatto: la circostanza che la compilazione e la presentazione delle dichiarazioni Uni-Emens (tale dichiarazione è la denuncia obbligatoria che il datore di lavoro, che svolge la funzione di sostituto d’imposta, invia mensilmente all’INPS per comunicare i dati retributivi e le informazioni utili al calcolo dei contributi da versare) fossero state delegate dall’imputato al commercialista della società, come confermato dalla deposizione di una delle dipendenti della società; le espresse rassicurazioni che la teste avrebbe ricevuto dal commercialista in ordine alla avvenuta esecuzione delle comunicazioni obbligatorie; la verifica, condotta dalla teste medesima circa la regolare esecuzione delle dichiarazioni IVA, traendone la certezza che tutte le altre dichiarazioni obbligatorie fosse state parimenti effettuate.

Oltre a ciò, secondo la difesa dell’imputato, non solo avrebbe pagato personalmente parte degli stipendi dei suoi dipendenti, azzerando il proprio compenso di amministratore ed immettendo risorse personali per mantenere gli impegni già presi con i fornitori ma avrebbe anche acquistato l’intero capitale sociale della società, dando con ciò prova dell’intenzione di salvare la società, restituendole piena operatività e rimettendola nelle condizioni di ottemperare a tutte le proprie obbligazioni, anche previdenziali.

La sentenza

Secondo la disposizione normativa in contestazione “(…) il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o, in, parte, non conformi al vero, è punito con la reclusione fino a due anni quando dal fatto deriva l’omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie (…)”.

Tale norma conferisce rilevanza penale alle condotte omissive e commissive considerate allorquando dal fatto derivi l’omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra Euro 2.582,28 mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti.

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato è necessaria la rappresentazione e volizione della omessa registrazione o denuncia obbligatoria, nonché il dolo specifico di evasione, giacché il datore di lavoro deve perseguire il fine di non versare in tutto o in parte i contributi previdenziali o assistenziali.

Quindi  è stato proprio il motivo di censura afferente l’elemento soggettivo della fattispecie ad essere accolto dalla Corte di Cassazione: i giudici di legittimità hanno infatti evidenziato come pur affermando la sussistenza, in capo all’imputato, della finalità specifica di non provvedere ai pagamenti dei contributi all’INPS, la sentenza impugnata avesse omesso di confrontarsi con le doglianze difensive afferenti alle dichiarazioni della teste circa l’insussistenza del dolo generico in ordine alla consapevolezza e volizione, da parte dell’imputato, delle omesse denunce contributive.

La sentenza, pur motivando la ritenuta sussistenza del dolo specifico di evasione dalla totale omissione delle denunce per un lungo periodo di tempo, aveva mancato di confrontarsi con le censure, avanzate dalla difesa, sul rilievo assunto dalle espresse rassicurazioni, ricevute dalla teste da parte del commercialista della società, in ordine al fatto che le comunicazioni obbligatorie – e, tra queste, anche le dichiarazioni Uni-Emens – fossero state già eseguite direttamente dal medesimo studio. Ed infatti, pur volendo ritenere accertata l’eventuale specifica finalità evasiva della condotta, prima di concludere nel senso dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato, in ordine alla violazione dell’art. 37 legge 689/81 occorreva dare conto della accertata sussistenza della consapevolezza e volizione dell’omessa presentazione, da parte del ricorrente, delle denunce contributive.

In conseguenza di tali osservazioni, accertata la prescrizione del reato rispetto ad una mensilità, la Corte ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alla mensilità di gennaio 2016, per l’intervenuta estinzione per prescrizione, e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste, limitatamente al residuo reato (mensilità di dicembre 2016).

´Fonte: Altalex

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